L’art. 37
quinquies del D.L. n. 104/2020, convertito in L. n. 126, relativo alle
Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia, ha integrato l’art. 138 del T.U.L.P.S. sui requisiti delle guardie particolari giurate, stabilendo che il Prefetto può approvarne la nomina
previa verifica dell’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente con un istituto di vigilanza, ovvero con uno dei soggetti che è legittimato a richiedere l’approvazione. Tale previsione ha chiaramente escluso la possibilità che il lavoro di guardia giurata possa essere svolto nella forma di lavoro autonomo.
Si potrebbe dire niente di nuovo sotto il sole, siccome l’art. 6, c. 2, del D.M. n. 269/2010 già prevedeva, altrettanto chiaramente, che
il riconoscimento della nomina a guardia giurata è subordinato all’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente. E non poteva essere altrimenti, considerato come e quanto si sia trasformata, in questi ultimi anni, l’attività lavorativa delle guardie giurate, sempre più impegnate anche in compiti di sicurezza complementare, in ausilio delle Forze di polizia.
Tuttavia, un approfondimento ci permette di rilevare che la recente precisazione del D.L. n. 104 si è resa oltremodo necessaria.
La certezza che l’attività di guardia giurata potesse essere svolta solo ed esclusivamente alle dipendenze di privati o istituti di vigilanza venne messa in discussione, nel lontano 2003, con l’istanza di un aspirante guardia giurata, con la quale fu richiesto al Prefetto il rilascio del decreto per espletare l’attività di vigilanza in proprio, come lavoratore autonomo. Per essere più precisi, tale certezza cominciò ad essere messa in dubbio con la sentenza del TAR per l’Emilia Romagna n. 3696/2004, con la quale venne accolto il ricorso contro il respingimento della suddetta istanza.
Infatti, secondo il giudice amministrativo, l’attività in questione poteva essere espletata anche
direttamente in qualità di lavoratore autonomo, con richiami alla giurisprudenza della Corte di Cassazione ( Sent. Sez. Tributaria n. 1998/2003), della Corte di giustizia CE (Sent. n.283/2001) e al parere del Consiglio di Stato (n. 247/1996), così non ravvisando
nel dettato degli articoli 133 e 134 del T.U.L.P.S. alcuna ragione ostativa al rilascio di autorizzazione a svolgere attività di vigilanza come lavoratore autonomo senza vincoli di subordinazione.
Comunque, tale vicenda non trovò una soluzione immediata, ma, anzi, proseguì per anni, con l’aspirante guardia giurata costretto a ricorrere al giudice più di una volta, per le resistenze del Prefetto (ben quattro ricorsi accolti dal TAR, di cui l’ultimo nel 2019, più due di ottemperanza, nonché due conferme in appello del Consiglio di Stato nel 2010 e nel 2020, con sentenze n. 2661 e n. 834).
Lo stesso Prefetto respinse analoga richiesta di una seconda guardia giurata, provvedimento di rifiuto impugnato sempre davanti al TAR dell’Emilia e Romagna e accolto con sentenza n. 118/2018.
Nel frattempo, durante le schermaglie processuali, la normativa del T.U.L.P.S. in materia, oramai datata, venne aggiornata per essere adeguata agli indirizzi del legislatore comunitario, nonché per rispondere più efficacemente alle crescenti richieste di sicurezza e per collaborare con le Forze di polizia nella vigilanza di areoporti, porti, stazioni ferroviarie, metropolitane, uffici giudiziari e obiettivi sensibili.
Per quel che interessa la nostra vicenda è opportuno richiamare il D.M. n. 269/2010, vera e propria rivoluzione copernicana del settore, con il quale si stabilirono e regolamentarono dettagliatamente le varie tipologie di servizi espletabili dagli istituti di vigilanza, nonché i requisiti professionali necessari per espletare l’attività di guardia giurata.
L’art. 6, c. 2, di quest’ultimo decreto, aveva previsto che il riconoscimento della nomina a guardia giurata fosse subordinato all’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente. Riteniamo che tale precisazione, non prevista dal T.U.L.P.S., sia stata necessaria in considerazione della rinnovata attività di vigilanza che avrebbe dovuto essere espletata con risorse umane e strumentali adeguate, con conseguenti impegni economici rilevanti, difficilmente sostenibili dalla singola guardia giurata.
Ma le vicissitudini processuali delle due aspiranti guardie giurate non si limitarono ad avere effetti solo tra le parti, avendo, invece, inaspettatamente, riflessi più generali, interessando quanto disposto dall’art. 6, c. 2, del D.M. n. 269/2010.
Infatti, in particolare con la sentenza n. 540 del 2019, il TAR per l’Emilia Romagna ribadiva esplicitamente che il comma due del suddetto articolo doveva considerarsi annullato con effetti non solo tra le parti, ma anche nei confronti delle guardie giurate che volessero iniziare tale attività in forma di lavoro autonomo
essendo del tutto pacifico che la sentenza di annullamento di un regolamento amministrativo (quale è il D.M. n. 269/2010), in quanto atto generale ed astratto ne procura l’eliminazione dall’ordinamento con effetto erga omnes. E’ da rilevare che tale interpretazione è stata criticata, senza conseguenze sui ricorsi, dal Consiglio di Stato, siccome il TAR si sarebbe dovuto limitare a disapplicare il comma due dell’art. 6, con riflessi solo nei confronti dei ricorrenti, lasciando alla competenza del TAR del Lazio la possibilita’ di annullamento con effetti generali nei confronti di tutti gli interessati al lavoro in forma autonoma (Sent. n. 834/2020).
Il Ministero, preso atto dell’annullamento del comma due dell’art. 6, ha cercato di regolamentare anche l’attività di vigilanza espletata come lavoro autonomo.
Comunque, prima di emanare direttive in merito, lo stesso Ministero ha presentato un articolato quesito al Consiglio di Stato per avere un parere sulle conseguenze dell’annullamento, in particolare se quest’ultimo avesse valore, oltre che tra le parti dei ricorsi, anche nei confronti di tutti gli interessati ad intraprendere l’attività di vigilanza in forma di lavoro autonomo, e, in quest’ultima ipotesi, quale fosse la disciplina applicabile.
In merito, il Consiglio di Stato, con parere del 25 settembre 2019 (n. affare 1937/2018), ha ritenuto di condividere l’interpretazione del giudice amministrativo, riconoscendo alle pronunce dello stesso ( TAR n. 118/2018, n. 540/2019) validità di annullamento del comma due con effetto generale. Con lo stesso parere è stato precisato che il Ministero non poteva ripristinare la disposizione annullata con un decreto ministeriale, ma che, invece, avrebbe potuto essere reintrodotta solo con una legge.
Pertanto, il Ministero ha regolamentato la materia con due circolari (17 ottobre 2019, 17 luglio 2020), con le quali ha dettato alle Prefetture una serie di indicazioni interpretative per lo svolgimento dell'attività di vigilanza in forma di lavoro autonomo.
L’ultimo tentativo del Ministero per cercare di far sopravvivere il citato comma due si è concretizzato con il ricorso in appello al Consiglio di Stato per la riforma della sentenza del TAR per l’Emilia Romagna n. 39 del 2019. Purtroppo, anche questo tentativo è risultato vano, siccome l’appello è stato respinto (Sent. n. 834/2020).
Nonostante la buona volontà del Ministero per cercare di regolare il lavoro autonomo, tuttavia lo stesso si rendeva conto che
il quadro regolatorio della materia appare costruito intorno alla fattispecie classica per cui la guardia giurata opera come lavoratore dipendente del proprietario dei beni da sorvegliare o di un operatore della sicurezza privata (circolare 17 ottobre 2019).
Effettivamente, considerata l’evoluzione dell’attività della vigilanza privata, sempre più impegnata anche in attività di sicurezza complementare e sussidiaria, evoluzione che ha comportato la complessa organizzazione di risorse umane e strumentali, con impegni economici adeguati, riusciva difficile pensare come una tale rinnovata attività potesse essere svolta da una singola guardia giurata in forma di lavoro autonomo.
Quindi, è stato necessario porre un rimedio alle conseguenze negative dell’annullamento del comma due dell’art. 6, del D.M. n. 269/2010, rimedio che
non sarebbe potuto avvenire attraverso una norma di rango regolamentare, che avrebbe determinato l’elusione del giudicato, ma solo con un intervento legislativo ( Cons. St. parere 2531/2019).
E così è stato. Infatti il legislatore, con l’art. 37
quinquies del D.L. n. 104/2020, riportato in premessa, ha ripristinato quanto già previsto dall’annullato comma due dell’art. 6 del D.M. n. 269/2010,
prevedendo la possibilità di approvare, da parte del Prefetto, la nomina a guardia particolare giurata solo nel caso dell’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente.
Forse si sarebbe potuti intervenire prima, evitando che la telenovela, iniziata nel 2003, avesse un numero più limitato di puntate.
Firenze 13 dicembre 2020 ANGELO VICARI